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PER IL RICONOSCIMENTO DELLA RESIDENZA ESTERA PREVALGONO GLI ELEMENTI DI FATTO |
L’Agenzia delle Entrate con la risposta n° 203/2019 abbandona l’interpretazione per la quale la mancata iscrizione all’AIRE avrebbe valore di presunzione assoluta di residenza in Italia, riconosce che “l’accertamento dell’effettiva residenza fiscale costituisce una questione di fatto” e rinvia ai criteri, tra loro alternativi, di cui all’art. 4, par. 2, del Modello di Convenzione OCSE (tie break rules): abitazione permanente, centro di interessi vitali, luogo di soggiorno abituale. A questi criteri si ispirano le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni fiscali ratificate dall’Italia.
Il legislatore, con l’art. 5 del D.L. 3419 (decreto crescita) ha superato questa presunzione assoluta di iscrizione all’AIRE, quando agli artt.16 del D.Lgs 14715 (lavoratori rimpatriati) e 44 del D.L. 7810 (rientro dei cervelli), dispone che “non è più necessaria la pregressa iscrizione all’AIRE”, perché la residenza è riconosciuta in base alle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali.
La Cassazione, con la sentenza n° 329922018, ha riaffermato, per il riconoscimento della residenza, il luogo dove sono prevalenti le relazioni economiche. La normativa convenzionale è richiamata anche dall’art- 117 della Costituzione, il quale dispone che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
La prevalenza della sostanza rispetto alla forma, per il riconoscimento della residenza fiscale all’estero, è sempre più riconosciuta, per esperienza diretta, anche dalle Commissioni Tributarie di Roma,
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